domenica 15 marzo 2015

Luna rossa (1)

Seduta all'ombra di un ulivo, Idia cullava sua figlia, tenendola attaccata al seno sinistro, gonfio di latte. La prima poppata era toccata come sempre al gemellino, che adesso stava adagiato sulla spalla di Dafne, mentre la sorella prendeva il suo posto tra le braccia della madre.

Erano passati poco più di due mesi dalla nascita dei gemelli e Idia si era ormai del tutto ripresa dalle pene del parto, tanto che quella mattina era riuscita a raggiungere il giardino senza fatica. Il dolore del corpo era svanito e si era quasi rimarginata anche l’ultima ferita infertale da Eeta, durante la sua visita ai neonati. 

Il re aveva fatto irruzione nella stanza, che ancora risuonava dei canti propiziatori delle maie e dei lamenti di Idia. Lei era ancora accasciata tra le lenzuola madide di sudore, quando aveva udito il passo arrogante del suo sposo sovrastare i bisbiglii di disappunto delle donne. 
La bambina appena nata stava tra le mani di Dafne, ma Eeta non aveva degnato di uno sguardo né lei né Idia. Si era diretto verso la culla e aveva preso tra le mani il bambino, il suo erede, che subito aveva iniziato a piangere, svegliato dai modi poco delicati del padre. 
Il re lo aveva sollevato davanti a sé, esaminandolo, come se cercasse qualche traccia di imperfezione, sordo ai vagiti del piccolo e ai borbottii di Dafne. Una risata di soddisfazione aveva riempito la camera, colpendo le orecchie e il cranio di Idia con la forza di un maglio. 

«Mio figlio! – aveva gridato, come se avesse appena scoperto quella parola – Apsirto sarà il suo nome. Apsirto, figlio di Eeta. La tua vita dipende dalla sua, donna. Farai meglio a ricordartelo.», aveva aggiunto poi, rivolto a Dafne, ma senza neanche guardarla. 

Idia aveva sentito un fiotto di bile salirle in gola. “Che possa caderti la lingua e ogni altra appendice, schifoso ingrato”
Per fortuna la nutrice era difficile da intimidire: «Sono qui per questo, mio signore! – aveva replicato con fare stizzito - E come vuoi che venga chiamata la bambina?».

Il suo tono sfrontato aveva costretto il re a voltarsi, finalmente, e a fissare i suoi occhi neri come carbone in quelli di lei: «Decida pure la madre, non mi curo del nome di una femmina.», la voce simile a un ringhio. Dafne serrò la mascella, evitando di rispondere. 

Le labbra di Eeta si erano increspate in una specie di sorriso, un'espressione che a Idia metteva sempre i brividi, più delle sue smorfie di disprezzo o di rabbia.
Porgendole il bambino ancora urlante, il re si era avvicinato all'orecchio della nutrice e a bassa voce, ma non tanto che Idia non potesse udire, le aveva detto: «Stai al tuo posto, donna, e fa’ ciò per cui sei pagata. Non te lo ripeterò una seconda volta.».

Poi se ne era andato, continuando a ignorare la sua sposa. 
"Che cosa ti aspettavi, illusa?" Si era poi chiesta lei. "Ora che gli hai dato un figlio, sei del tutto inutile". Quel pensiero l'aveva accompagnata fino a che la stanchezza non era riuscita a prevalere sulla frustrazione, il che grazie agli dei era successo abbastanza in fretta.

Idia aveva rivisto suo marito soltanto pochi giorni dopo, quando Apsirto era stato presentato pubblicamente ai sudditi come erede di Eeta e principe di Colchide, mentre la sorellina era rimasta chiusa nel gineceo con Dafne e la sorella maggiore, Calcìope. Idia aveva deciso di chiamarla Medea.

Continua...

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