sabato 8 agosto 2015

Un nuovo giuramento (8)

Atalanta si sentiva confusa. Inclinò la testa da un lato, come a tentare di inquadrare meglio il personaggio che le stava di fronte. 

«Tu hai capito che l'unica cosa che voglio é uccidere Neleo e Roikos, vero?»

Arktos sbuffò come un bue e si massaggiò gli occhi tra pollice e indice. Poi si infilò la mano nel collo della tunica e ne trasse fuori una catena d’ottone. Alla sua estremità era attaccato un medaglione d’oro, su cui erano incise l’immagine di un ariete e una scritta: KRATEI AIOLOU, “Con la forza di Eolo”. Solo allora Atalanta decise, anche se non poco irritata, di sedersi a gambe incrociate davanti a lui. Si prospettava un racconto e le sue gambe non ce la facevano più.

«Questo è il simbolo della casa di Esone - iniziò Arktos - il simbolo degli Eolidi, che per secoli regnarono su questa terra. Molti anni fa prestai giuramento su questa effigie, quando ancora il padre di Esone, Creteo, sedeva sul suo legittimo trono. Giurai di proteggere i re di Jolkòs, di morire per loro e i loro figli, se fosse stato necessario. Servii fedelmente la casa degli Eolidi per molti anni, prima come soldato, poi come ufficiale di alto grado e infine come lawaghetas, il capo delle guardie. Notti fa...possano gli dei perdonarmi...Notti fa, ho infranto il mio giuramento. Il re Esone, il mio re, é morto. E come puoi vedere, io sono ancora vivo, invece.» 

Atalanta credette di percepire un lieve tremore nella voce di Arktos, ma fu come il mugolio di un temporale lontano. 

«Oggi, però, Zeus onnipotente mi ha portato sulla tua strada. Se ciò che hai detto é vero...»

«É vero!», lo interruppe Atalanta, pronta a esplodere di rabbia.

La mano possente di Arktos avanzò ad arginare la furia. «...allora c'é ancora speranza per me di salvarmi dalla dannazione del Tartaro. La mia anima è legata a questo medaglione, e proprio quando stava per diventare un inutile pezzo di ferraglia, sei arrivata tu a restituirgli il suo nobile significato.»

«E come avrei fatto?», chiese Atalanta, gli occhi stretti come a tentare di ritrovare il filo del discorso.

«Ah, ma non capisci?!», sbottò Arktos, mettendo via il medaglione con uno scatto della mano. «Perché Pelias avrebbe dovuto bruciare le spoglie di un bambino comune se il principe Iason fosse nelle sue mani?! Ci scommetto la barba che la regina ha trovato il modo di salvarlo!». 

Il gigante prese le minute spalle di Atalanta tra le sue immense mani e finalmente la ragazza poté vedere una sorta di sorriso farsi strada nel cespuglio corvino delle sue guance. «Se il principe é ancora vivo, allora un giorno la nobile casa degli Eolidi potrebbe tornare a regnare sulla terra di Tessaglia. Non capisci, ragazzina? Posso ancora salvare il mio onore!» 

Eolidi. Onore. Parole vuote per Atalanta, ostacoli al suo vero, irrinunciabile obiettivo. Si scrollò dalle spalle le dita callose di Arktos. 

«Il tuo re é morto, bestione. Il tuo principe sarà ormai cibo per lupi. E io non voglio nascondermi in questo buco, mentre tu cerchi un cadavere per chissà quanto tempo. Devo vendicare la mia famiglia, altrimenti Persefone manderà anche me a marcire nel Tartaro insieme a te.» Detto questo, si alzò dal pavimento, andò a recuperare il suo arco e prese la via della porta, senza la minima intenzione di voltarsi.

«Stupida ragazzina, ti farai ammazzare!», grugnì Arktos. Ma quando Atalanta fu a un passo dalla soglia, il colosso si batté la mano destra sul petto e proclamò con quanto fiato aveva in corpo. «Per tutti gli dei dell’Olimpo e degli Inferi, per l’acqua del fiume Stige, che la mia anima possa annegarvi per l’eternità, giuro di aiutarti nella tua vendetta e punire così la scellerata empietà di Neleo, Roikos e Pelias.».

Atalanta si bloccò, come intrappolata nella pania. Il bestione aveva pronunciato il giuramento inviolabile, il voto sul fiume dell’Ade che neanche gli dei possono spezzare. Persino lei, cresciuta nei boschi, ne conosceva la sacra validità. Quello strano, granitico, immane uomo parlava con cuore sincero, il suo pensiero non era diverso dalle sue parole. 

Perché ci tenesse tanto a tenerla con sé, Atalanta non riusciva ancora a spiegarselo. Ma adesso non le dispiaceva più tanto l'idea di restare e scoprirlo. Fece un passo indietro, si tolse l'arco dalle spalle e si voltò. Arktos era ancora ritto in piedi, mano destra sul cuore e sopracciglia unite in mezzo alla fronte.

Anche lei alzò una mano e se la portò al petto. «Io sono Atalanta, figlia di Etandro. E accetto il tuo giuramento.».

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