domenica 20 settembre 2015

Libera (2)

Thalia sarebbe andata via, Idia ne era finalmente certa.

«Quanto lontano?», osò chiedere senza alzare lo sguardo dalla tazza.

«Quanto tu desideri, mia signora. Tanto da permetterti di vederla ogni giorno senza sforzo, oppure così lontano che ogni Greco della regione ne ignorerà l’esistenza…Sta a te decidere.», ribadì Altea fermamente.

Idia si torse una ciocca di capelli tra le dita. Sentiva di aver già preso una decisione, ma non trovava il coraggio per pronunciare le parole necessarie. Arricciò il naso quando le lacrime affiorarono. «Per il suo bene, che vada dove neanche io posso raggiungerla. Per il suo bene.», ripeté più a se stessa che ad Altea.

«D'accordo, allora. - acconsentì la Venerabile - Conosco un luogo...»

«Ti prego, Madre, non dirmelo. - la interruppe Idia, facendo quasi cadere la tazza - Se non so, non avrò tentazioni, né potrò rivelare alcunché.»

Altea distese la fronte, comprensiva, e annuì.

«Mi fido del tuo saggio giudizio, Madre Altea. Ti ringrazio.». La regina tirò un sospiro di sollievo, le spalle rilassate, come appena liberate da un peso. 

Altea sorrideva. «Porta da me la ragazza quando preferisci. Sarà accolta e curata volentieri, non diversamente dalle altre future madri che vengono qui in cerca della protezione della Grande Hera.». Con un ampio gesto del braccio invitò la regina ad accompagnarla fuori dall’alloggio e a tornare insieme a lei nel tempio.

Idia si alzò, ma non mosse un passo. Si lisciò la tunica amaranto, invece, e si schiarì la voce: «A dire la verità, Thalia è già alle porte del tempio ad aspettarci. Non volevo farla entrare senza il tuo consenso, ma…».

«…ma non avresti accettato un mio rifiuto.», concluse Altea, dando voce ai pensieri inespressi di Idia. «Sarà meglio farla entrare, allora, prima che questo sole cocente le offuschi i sensi.». Riprese lo scettro d’ebano appoggiato accanto alla porta della camera chinò la testa e attese che Idia la precedesse.

Le due donne attraversarono in silenzio il piccolo orto di erbe medicamentose che separava la piccola casa di Altea dalle mura imponenti del tempio. Ad attenderle tra le colonne del peristilio, il colonnato che circondava il recinto sacro, stava Thalia, in muta attesa all’ombra di una colonna. Non aveva osato mettere piede nella casa di una dea greca. Un leggero rigonfiamento all’altezza del ventre le deformava la tunica color croco, ma di certo non si sentiva come una donna in dolce attesa avrebbe dovuto sentirsi: lei quell'attesa non la voleva. Non appena vide arrivare la sacerdotessa e la regina, Thalia accennò a un inchino nervoso, lo sguardo basso, sempre più umido.

«Benvenuta nella casa della Grande Madre Hera, giovane Thalia.», la salutò Altea, rivolgendole un sorriso affabile.

La ragazza si sforzò di ricambiare, ma non riusciva a fare a meno di guardare con apprensione la sua regina. 

Continua...

domenica 6 settembre 2015

Libera (1)

L’alloggio della sacerdotessa Altea non era come Idia se l’era immaginato, pieno di effigi della dea Hera e impregnato dell’odore di incenso. Era una stanza semplice, di una sobrietà austera, fin troppo ordinaria per una Venerabile Madre, arredata con pochi mobili essenziali, che ne accentuavano la spaziosità: un letto su un telaio di legno liscio, privo si intarsi o decorazioni, alcune sedie di legno scuro ed un largo tavolo con una lastra in pietra grigia, robusto, senza particolari cesellature. Su questo l’unica nota preziosa della stanza, una statuetta d’oro della dea, inserita in un altarino di alabastro, illuminato da piccole lampade ad olio. Da una finestra filtravano i raggi del sole, che rischiaravano l’ambiente di una calda luce dorata, creando una mistica aura attorno alla reliquia appesa sopra la testata del letto. Un corno candido, lungo circa un braccio, su cui erano state intagliate le scene di un sacrificio, curate nei minimi dettagli, un lavoro di fattura tanto precisa, che Idia riusciva a distinguerne le figurine di una sacerdotessa con il capo velato e di una novizia nell’atto di ricevere una ghirlanda di melograno, mentre sotto di loro un sacerdote sgozzava un possente toro, riversandone il sangue in una bacinella posta sotto la sua gola. 

«Quello è il corno del bue che venne sacrificato il giorno della mia consacrazione.», spiegò Altea, notando l’interesse della regina. Le porse una tazza di acqua, succo di limone e miele, invitandola a sedersi con un gesto della mano.

 «Perdona la scomodità della mia casa, mia signora, non sono abituata a ricevere visite, soprattutto dai membri della famiglia reale. Ma se cerchi un momento di serenità, sei nel posto giusto.».

«In questo caso, penso che verrò a trovarti più spesso.», risero entrambe, ma la regina aveva palesemente i nervi a fior di pelle. Piccoli cerchi concentrici si formavano nell’acqua al miele, tanto tremava la mano di Idia. «Sei tu che devi perdonare me, Venerabile Madre, per i miei modi insoliti. Ti avrei fatto convocare e venire al palazzo, come sempre, ma certi discorsi richiedono un luogo…sereno, per l’appunto.» La regina nascose un sorriso amaro prendendo un sorso della bevanda. 

«Non giustificarti, mia signora – la tranquillizzò Altea – Per me è un onore riceverti in ogni circostanza. Dimmi, sei stata turbata da altre visioni? ». La sacerdotessa prese posto davanti alla regina, schiena dritta e mani incrociate sulle gambe, il suo assetto da ascolto.

Il tremore passò dalla mano alla voce di Idia. «Nessuna visione. Da quando sono nati i gemelli, devo ringraziare gli dei se ho il tempo di chiudere occhio per per qualche momento. Sono venuta qui per un problema molto più concreto.». Prese un altro, lungo sorso della bevanda. «Questa volta però non si tratta di me, Venerabile Madre. Sono venuta a chiederti di prendere Thalia sotto la tua protezione, al servizio del tempio.».

Altea non nascose una certa sorpresa. «Mi ricordo della ragazza. La tua ancella Colca, se non sbaglio…», rammentò, gli occhi stretti fino a creare un profondo solco in mezzo alla fronte.

«È nata da schiavi colchi – si affrettò a rispondere Idia – ma è cresciuta a fianco di mia figlia Calcìope, come lei ha seguito i miei insegnamenti, nonostante fosse al mio servizio, e se non fosse per il colore della sua pelle, la diresti una Greca di genitori greci.».

Altea si portò l’indice alle labbra, pensierosa. «Non era questo ciò a cui pensavo, mia signora, anche se una Colca tra le novizie non passerebbe certo inosservata. Mi domando, però, perché una regina dovrebbe volersi privare della sua ancella personale...». Gli occhi erano ridotti a due fessure, come se volessero scrutare nei pensieri di Idia. 

La regina prese l’ultimo sorso dalla tazza di acqua e miele, tentando di dissimulare la sua incertezza su cosa dire, o meglio su come dire ciò che aveva in mente. Che cosa si aspettava? Che la sacerdotessa accettasse la sua richiesta senza battere ciglio, soltanto perché lei era la regina? Forse sì, lo aveva pensato, sperato, dimenticandosi di quanto poco si fosse servita in passato di quel titolo. Ad ogni modo sapeva che Altea non avrebbe mai accettato passivamente nessun ordine, neanche se questo fosse venuto da Eeta in persona. Lei rispondeva soltanto agli dei. 

Alla fine Idia prese un profondo respiro, tornando a fissare gli occhi sulla figura di Altea, snella e solida come l'albero di una nave veloce. «Thalia presto sarà madre, non sarà più in grado di occuparsi delle sue mansioni.». Le stava dicendo solo una parte della verità, ma tentò ugualmente di sostenere lo sguardo indagatore di Altea, sperando che le bastasse.

Altea lì per lì non rispose. Si alzò e si diresse alla finestra, immergendosi nei riverberi del sole. I capelli bianchi, la tunica candida e le sottili catene d’oro che le cingevano la vita e i polsi crearono su di lei un’aura quasi incandescente. 

Idia iniziò a grattare la terracotta della tazza, finchè non sentì l’unghia dell’indice scheggiarsi.

 «Sarebbe più arduo nascondere una gravidanza che il sangue barbaro della ragazza. – Fu alla fine il responso di Altea – Mia signora, non potrò fare di lei una novizia in quelle condizioni: susciterebbe troppe domande, persino astio tra le altre sacerdotesse di Hera.».

Idia trattenne il respiro, impreparata a un rifiuto.

«Ma…se quello che vuoi è allontanarla dal palazzo, potrei tenerla con me, affidandole semplici compiti domestici. Potrei darle un alloggio poco distante dal tempio: in questo modo sarebbe al sicuro da occhi indiscreti e, quando arriverà il momento del parto, nessuno si interesserà del bambino, se non io stessa.». 

Un penetrante sguardo d’intesa colpì Idia. “Allontanarla dal palazzo”. La regina dimenticava sempre quanto la Venerabile Madre riuscisse a essere perspicace: a volte sembrava quasi che gli dei le sussurrassero all’orecchio i segreti di chi le stava accanto. Le bastava uno sguardo, una parola, un gesto, anche solo un momento di silenzio per strappare via la maschera dal viso degli uomini e leggere le loro anime, come scolpite su una stele di granito. Anche allora la sacerdotessa era riuscita a cogliere l'essenza dei suoi turbamenti dietro poche, pochissime parole. Questo spaventava e meravigliava Idia allo stesso tempo.

Continua...