domenica 18 ottobre 2015

Libera (4)

Quando arrivarono al limitare del campo, Altea riprese finalmente a parlare: «Aspettatemi qui, mia signora. Conosco la famiglia che si occupa del campo. Abita in quella casa laggiù. Più di una volta ho curato la padrona e i figli che sono nati da lei. Il suo sposo ci aiuterà a raggiungere il posto che ho in mente.».

Idia annuì senza l’ombra del dubbio. Thalia invece rimase a testa bassa, le mani sul piccolo ventre. Aspettò che la sacerdotessa si fosse allontanata abbastanza, prima di emettere un bisbiglio stentato: «Perché?». Quella parola le ronzava in testa da quando aveva capito di essere incinta, ma solo allora la lasciò uscire.

Idia le rivolse uno sguardo confuso. «Come dici?».

Thalia si coprì allora il volto con le mani e iniziò a piangere. «Mia signora…perché…perché mi abbandoni? Ti prego…Non farlo!». La voce usciva a singulti, rimbombando nella coppa delle mani.

 Idia sospirò nervosamente. «Preferisci tornare al palazzo e diventare una delle concubine del re?».

A quella prospettiva, Thalia sentì nuovamente bruciare la cicatrice sotto il seno, il marchio di Eeta. Non riusciva a smettere di piangere, le lacrime sgorgavano contro la sua volontà. Quanto avrebbe voluto avere la forza di fare ciò che le sue fantasie le suggerivano!

«Io voglio restare con te, padrona!», riuscì a supplicare tra un singhiozzo e l'altro. 

La regina le si avvicinò e lei fu pronta a ricevere un abbraccio, forse l'ultimo. E invece Idia la afferrò saldamente per le spalle, costringendola a fissare gli occhi nei suoi. Erano duri come due pietre d'acquamarina. 
«Pensi davvero che ti permetterei di rimettere piede nel letto di quel...di mio marito? Pensi che ti voglia abbandonare, Thalia? Io ti sto liberando! Non sarai più la schiava di nessuno e, credimi, non sono molte le padrone disposte a privarsi della propria ancella, soprattutto dopo averla cresciuta e protetta per quasi quindici anni!»

Thalia adesso provava vergogna. Sapeva di dover essere grata alla sua padrona, ma quel senso di abbandono non voleva andarsene. Dove l’avrebbe portata la sua libertà?

Idia continuava a stringerle le spalle, con forza ma senza farle male. Attese che i singhiozzi diminuissero e poi le prese il mento tra le dita. I suoi occhi adesso erano due polle d'acqua cheta. «So che molte volte ti sei chiesta chi fossero i tuoi genitori o dove fossero. Non ti ho mai rivelato niente, né ho permesso che altri lo facessero, perché ho sempre voluto proteggerti.» Thalia ebbe l'impressione che anche la regina fosse sul punto di piangere. «Eri una bambina così graziosa, così buona. Ma poche settimane dopo la tua nascita, Eeta mandò i suoi uomini a prendere i tuoi genitori, li fece picchiare, torturare e poi li vendette a mercanti fenici. Non fece lo stesso con te solo perché io lo implorai di tenerti con me.». 

Thalia non piangeva più, gli occhi le bruciavano ancora, ma erano asciutti. “Perché?” Di nuovo quella parola nella testa, ma stavolta sembrò che anche la regina potesse udirla. 

Idia la abbracciò come non aveva mai fatto prima, così stretta che Thalia poteva sentirne il profumo dell’olio di rosa sulla pelle. «Gli schiavi non possono unirsi e procreare senza il permesso del padrone. Questa è la legge nella casa di Eeta. E il re conosce molti modi crudeli per applicarla. Immagina cosa farebbe a te, piccola mia. Eeta non ammetterebbe mai di essere...il responsabile. Ti punirebbe insieme a un altro schiavo di sua scelta. Vi farebbe implorare la morte e poi vi venderebbe. E io non posso permetterlo, non stavolta.». 

Continua...

domenica 4 ottobre 2015

Libera (3)

L’incontro tra Idia e Altea era ovviamente andato a buon fine, nonostante Thalia aveva pregato con tutte le sue forze di veder tornare la sua regina da sola e delusa. Strinse le labbra tra i denti perché non tremassero.
Idia le avvolse le spalle con un braccio. «La Venerabile Madre ha accettato di accoglierti e prenderti al suo servizio. Starai bene, Thalia. La saggia Altea conosce un luogo sicuro, dove potrai vivere in pace e dare alla luce il tuo bambino senza timori…».

«E la Grande Hera veglierà su di te attraverso questa sua umile serva.», intervenne Altea, per unirsi alle consolazioni della regina.

«Sì, mia signora.», mormorò l’ancella. Era questo che doveva rispondere, sempre. Obbedire e nient’altro, era tutto ciò che conosceva. E fino ad allora le era andato bene. Ma quel giorno Thalia sentiva più forte dentro di sé il desiderio di urlare, vomitare tutti i “no” che non aveva mai potuto dire. Una forte nausea le rivoltò lo stomaco, ma il bambino non c’entrava. Erano le paure, che si incalzavano l’un l’altra, si accavallavano e ammassavano in un macigno di pura tensione nelle sue viscere.

Che cosa ne sarebbe stato di lei, si chiedeva. Che cosa avrebbe fatto, lontana dalla sua regina, bandita dall’unica casa che avesse mai conosciuto? Sarebbe voluta scappare, ma per andare dove? I suoi genitori, non li aveva mai conosciuti. Non aveva radici tra i Colchi ed era rifiutata dai Greci. Si sentiva impotente, trascinata dal destino come una foglia da un fiume in piena. 

Eppure Thalia continuava a obbedire, silenziosa. Metteva un piede davanti all’altro, quasi fosse davvero spinta da una corrente invisibile, e seguiva la regina e la sacerdotessa che si avviavano fuori dal tempio, oltre il recinto sacro. Per un po’ le sentì mormorare, poi le loro voci non furono altro che un sottofondo indistinto ai suoi pensieri plumbei.

Pensieri violenti, come mai ne aveva avuti prima di allora. Avrebbe dovuto ficcarsi un coltello tra le viscere ed estirpare quella creatura indesiderata, invece di deturparsi inutilmente le braccia. Si guardò le cicatrici che si diramavano dai polsi all'interno dei gomiti e si sentì una stupida. Aveva bevuto pozioni nauseabonde fino a farsi rivoltare lo stomaco, ma niente. Quell'essere continuava a crescerle dentro, la derideva dal suo alveo sicuro, Thalia poteva quasi vederlo.

La linea azzurra del mare in lontananza spazzò via quelle visioni, come fossero fatte di fumo, e le rimpiazzò con desideri altrettanto inaspettati. Thalia sentiva una voglia irrefrenabile di correre giù per il pendio del colle, attraversare la città, urlando maledizioni ad Eeta, e infine buttarsi in mare e nuotare fino ai confini dell’Oceano. Fantasie, stupide fantasie che si diradarono con altrettanta facilità quando la regina e la sacerdotessa la costrinsero a voltare le spalle al mare.

Erano intanto giunte alla strada mattonata che portava al molo, ma non la seguirono. La attraversarono e tornarono a salire sulle pendici del grande colle, di cui il tempio occupava solo una piccola parte. Tutto intorno era una distesa di campi coltivati, sostentamento tanto per il palazzo del re, quanto per i templi che lo circondavano.
Si inoltrarono in un folto campo di grano maturo, quasi pronto per la mietitura. Thalia si guardava intorno, smarrita, e la regina sembrava disorientata quanto lei. La sacerdotessa, invece, continuava a procedere in silenzio, con passo sicuro. 

Continua...