domenica 4 ottobre 2015

Libera (3)

L’incontro tra Idia e Altea era ovviamente andato a buon fine, nonostante Thalia aveva pregato con tutte le sue forze di veder tornare la sua regina da sola e delusa. Strinse le labbra tra i denti perché non tremassero.
Idia le avvolse le spalle con un braccio. «La Venerabile Madre ha accettato di accoglierti e prenderti al suo servizio. Starai bene, Thalia. La saggia Altea conosce un luogo sicuro, dove potrai vivere in pace e dare alla luce il tuo bambino senza timori…».

«E la Grande Hera veglierà su di te attraverso questa sua umile serva.», intervenne Altea, per unirsi alle consolazioni della regina.

«Sì, mia signora.», mormorò l’ancella. Era questo che doveva rispondere, sempre. Obbedire e nient’altro, era tutto ciò che conosceva. E fino ad allora le era andato bene. Ma quel giorno Thalia sentiva più forte dentro di sé il desiderio di urlare, vomitare tutti i “no” che non aveva mai potuto dire. Una forte nausea le rivoltò lo stomaco, ma il bambino non c’entrava. Erano le paure, che si incalzavano l’un l’altra, si accavallavano e ammassavano in un macigno di pura tensione nelle sue viscere.

Che cosa ne sarebbe stato di lei, si chiedeva. Che cosa avrebbe fatto, lontana dalla sua regina, bandita dall’unica casa che avesse mai conosciuto? Sarebbe voluta scappare, ma per andare dove? I suoi genitori, non li aveva mai conosciuti. Non aveva radici tra i Colchi ed era rifiutata dai Greci. Si sentiva impotente, trascinata dal destino come una foglia da un fiume in piena. 

Eppure Thalia continuava a obbedire, silenziosa. Metteva un piede davanti all’altro, quasi fosse davvero spinta da una corrente invisibile, e seguiva la regina e la sacerdotessa che si avviavano fuori dal tempio, oltre il recinto sacro. Per un po’ le sentì mormorare, poi le loro voci non furono altro che un sottofondo indistinto ai suoi pensieri plumbei.

Pensieri violenti, come mai ne aveva avuti prima di allora. Avrebbe dovuto ficcarsi un coltello tra le viscere ed estirpare quella creatura indesiderata, invece di deturparsi inutilmente le braccia. Si guardò le cicatrici che si diramavano dai polsi all'interno dei gomiti e si sentì una stupida. Aveva bevuto pozioni nauseabonde fino a farsi rivoltare lo stomaco, ma niente. Quell'essere continuava a crescerle dentro, la derideva dal suo alveo sicuro, Thalia poteva quasi vederlo.

La linea azzurra del mare in lontananza spazzò via quelle visioni, come fossero fatte di fumo, e le rimpiazzò con desideri altrettanto inaspettati. Thalia sentiva una voglia irrefrenabile di correre giù per il pendio del colle, attraversare la città, urlando maledizioni ad Eeta, e infine buttarsi in mare e nuotare fino ai confini dell’Oceano. Fantasie, stupide fantasie che si diradarono con altrettanta facilità quando la regina e la sacerdotessa la costrinsero a voltare le spalle al mare.

Erano intanto giunte alla strada mattonata che portava al molo, ma non la seguirono. La attraversarono e tornarono a salire sulle pendici del grande colle, di cui il tempio occupava solo una piccola parte. Tutto intorno era una distesa di campi coltivati, sostentamento tanto per il palazzo del re, quanto per i templi che lo circondavano.
Si inoltrarono in un folto campo di grano maturo, quasi pronto per la mietitura. Thalia si guardava intorno, smarrita, e la regina sembrava disorientata quanto lei. La sacerdotessa, invece, continuava a procedere in silenzio, con passo sicuro. 

Continua...

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