domenica 15 febbraio 2015

Cacciatori e prede (2)

Più correvano, più chiaramente sentivano le urla. Presto Etandro riconobbe la voce del figlio, stridula, allarmata, unirsi a quella della moglie, e poi quella di un uomo che berciava. Altri due gli risposero. Ancora in corsa, il cacciatore afferrò il suo arco, incoccò una freccia e, nel momento in cui tese la corda, giunse davanti alla piccola radura dove si trovava la sua capanna.

Sotto lo sguardo divertito di un uomo a cavallo, sua moglie stava davanti alla porta, brandendo l’attizzatoio del braciere contro due uomini armati di spada, mentre suo figlio piangeva spaventato, seduto per terra dietro di lei. 
La freccia di Etandro partì e andò a piantarsi tra le spalle di uno dei due aggressori. Prima che il suo compagno riuscisse a riprendersi dalla sorpresa, un'altra freccia sibilò nell’aria e gli trapassò la gola. Il cavaliere lanciò un’imprecazione, mentre la donna scoppiava in lacrime alla vista del suo sposo. 

«Xantos!», lo chiamò, scossa dai singhiozzi. Soltanto lei continuava a usare il suo vero nome, che mai suonò più amaro alle orecchie di Etandro. 

Il cacciatore aveva già incoccato una terza freccia e la puntava al petto dell’uomo a cavallo, che lo guardava superbo, imperturbabile.
Non scoccò. Un pensiero trattenne la sua mano, un cocente desiderio di sapere il motivo di un simile attacco. 
«Chi siete? – urlò, trattenendo a stento l'istinto di rilasciare la corda – Che cosa volete da noi?! Parla, se non vuoi fare la fine dei tuoi sicari.».

L’uomo non rispose. Scese da cavallo con un ghigno sulle labbra, senza un cenno di preoccupazione per l’arma puntata contro. Si diresse con calma verso la donna, che adesso teneva stretto tra le braccia il bambino. 
«Se proprio lo vuoi sapere, – disse poi, a un passo da madre e figlio – io sono Neleo, figlio del divino Poseidone. Un’informazione che non credo ti sarà utile, ma fa sempre il suo effetto.», aggiunse beffardo.

«Non ti muovere!», urlò Etandro, tendendo ancora la corda dell’arco. Gocce di sudore gli solcavano la fronte. 

Era quasi sul punto di scoccare, quando udì un ramo spezzarsi dietro di lui, seguito da una voce roca. 
«Guarda qui che bella ninfetta!».

Etandro si voltò. La prima cosa che vide furono i capelli rossi di sua figlia stretti nella sudicia mano di un uomo dal viso butterato, come il muso di un coccodrillo, contornato da una barbetta unta da satiro. Un coltello arrugginito era puntato alla gola della bambina. 
Il cacciatore sentì il sangue gelarsi nelle vene: tutto il terrore che non aveva provato sino ad allora si concentrò in quell’unico istante. Gettò uno sguardo alla moglie e al figlio, poi di nuovo ad Atalanta e sentì il cuore lacerarsi e le gambe tramutarsi in pietra. Si maledisse per la sua esitazione.

«Uccidilo, papà! Uccidili tutti!», gridava la bambina, dimenandosi nel tentativo di liberarsi. 

L’uomo strinse ancora di più la presa, tanto da lasciarle il segno rosso sangue della lama sul collo. «Getta l’arco, bifolco, e forse tua figlia si salverà.», sbraitò.

Etandro era una belva in gabbia: non osava avanzare, né indietreggiare, spostava il peso da un piede all’altro, indeciso, impaurito e ardente d’ira. Si decise a lasciare il suo arco soltanto quando sentì le grida di disperazione della moglie e il pianto soffocato del figlio. Allora si voltò di nuovo, sentendo Atalanta piangere alle sue spalle e sua moglie davanti a lui. 

L’uomo che aveva detto di chiamarsi Neleo stringeva in una mano il tenero collo del bambino, che ormai non emetteva più neanche un vagito. Lo vide lanciargli uno sguardo di sfida, prima di sguainare la spada e immergerla nel petto della sua sposa. Lo vide estrarre la lama intrisa di sangue fino all’elsa e tornare poi al suo cavallo, senza degnarlo più di un’occhiata. Lo vide stringere saldamente il corpicino di suo figlio e portarlo con sè sul cavallo.

Il tempo sembrava essersi fermato. Etandro chiuse gli occhi e li riaprì, sperando di svegliarsi dopo un terribile incubo. La voce gli morì in gola. La vista gli si annebbiò. I suoni si fecero ovattati. Persino le grida si sua figlia, che continuava a lottare con l’energumeno, gli parvero lontane. Non sentiva più niente, neanche il proprio respiro, neanche il battito del suo cuore, che fino a poco prima gli pulsava veloce nel petto. Soltanto un assordante fischio gli attraversava le tempie. Non sentì neanche il freddo del metallo nel fianco, quando l’uomo dalla pelle di rettile glielo piantò tra le costole. 

Etandro lo guardò con i suoi occhi color miele, incredulo. Poi li abbassò su sua figlia, che con violenti strattoni cercava inutilmente di liberarsi dalla morsa dell’assassino. Il cacciatore avrebbe voluto scagliarsi su di lui con tutta la sua ira: la mente gli urlava di strapparsi il pugnale dal fianco e salvare sua figlia, ma le gambe non risposero ai comandi e si afflosciarono sotto il peso del suo corpo, prive di forze. Atalanta riprese a piangere e gridare, tentando di colpire con le sue piccole braccia l’uomo-rettile, senza però causargli più danno di un moscerino.

Etandro stese le braccia verso il suo arco, in un disperato sforzo, ma l’uomo lo calciò via, deridendolo. In lontananza la voce di Neleo: «Sbrigati, Roikos! Dobbiamo portare il bambino al tuo padrone e a lui non piace aspettare.».

«Sì, mio signore.», rispose l’uomo-rettile, con gli occhi fissi sul cacciatore. Accostò la bocca all’orecchio di Etandro, tanto che egli poté sentirne il fiato acre di vino. «Cerca di restare vivo ancora un po’, bifolco. Così vedrai che io mantengo sempre le mie promesse», gli sussurrò. Un ghigno giallastro gli si aprì sulla faccia piena di pustole.

Poi rinsaldò la presa sui capelli di Atalanta e la portò via, ma non abbastanza lontano perché Etandro non potesse vederlo.
Il cacciatore tentò di trascinarsi sulle braccia, ma anche queste cominciarono a cedere. Le forze se ne andavano insieme al sangue, che fuoriusciva copioso dalla ferita. Il soffio vitale lo stava abbandonando, ma Atropo, la Moira crudele, aveva deciso di lasciargli la vista e l’udito sino alla fine. 

Così Etandro vide il corpo della sua Atalanta straziato dalla violenza di quell’abominevole mostro; udì i grugniti soddisfatti di lui e le grida strozzate di lei. 
Alla fine anche il respiro abbandonò il corpo del cacciatore, la luce scomparve dai suo occhi di aquila, mentre il sangue scorreva in rigagnoli sul terreno, irrigando le radici dei suoi amati alberi.

Continua...